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Cronaca martedì 25 dicembre 2018 ore 15:00

​Concussione nel carcere, tutti assolti

Assolti l'ex direttore del carcere Mazzerbo, Zottola, Madonna e Piga, per le vicende legate alla cooperativa San Giacomo. Tutto era iniziato nel 2010



PORTO AZZURRO — A pochi giorni dal Natale si è concluso con l'assoluzione degli imputati il processo per concussione contro Carlo Mazzerbo, ex direttore del carcere di Porto Azzurro, Domenico Zottola, educatore, Sergio Madonna, assistente capo della Polizia penitenziaria e il docente Paolo Piga.

Sono stati tutti assolti perché il fatto non sussiste. La sentenza è stata emessa venerdì 21 Dicembre dal Tribunale di Livorno a firma del giudice Carlo Cardi.

Tutto era iniziato nel 2010 quando due detenuti del carcere di Porto Azzurro, che avevano lavorato nella cooperativa San Giacomo ed erano stati, secondo loro, puniti senza motivo, avevano rilasciato delle dichiarazioni contro varie persone fra cui il direttore del carcere di allora Carlo Mazzerbo, l'educatore Domenico Zottola, l'assistente Madonna e il docente Piga. Erano poi scattate delle indagini nei confronti di 14 persone che hanno poi portato all'accusa di concussione che ha visto protagoniste loro malgrado le persone che sono state assolte.

Le accuse erano state costruite intorno alla tesi di un abuso del proprio ruolo di funzionari dello Stato che sarebbe stato esercitato sui detenuti che lavoravano nella cooperativa San Giacomo. 

L'ipotesi accusatoria era quella che ci fossero state minacce nei confronti dei detenuti che lavoravano presso la cooperativa, in particolare attraverso la richiesta di lavoro superiore a quanto previsto dal contratto con ore di straordinario non retribuito.

Le indagini erano state condotte dalla Polizia penitenziaria e dalla Guardia di Finanza ed erano stati interrogati anche altri detenuti.

Il processo, avviato con un' udienza preliminare nel 2012, si è concluso venerdì 21 Dicembre 2018 ed in totale è durato 7 anni con lunghi dibattimenti.

Carlo Mazzerbo, ex direttore del carcere di Porto Azzurro

Volevamo arrivare ad una sentenza perché, essendo innocenti, non volevamo che il reato per cui siamo stati accusati cadesse in prescrizione. Sono stati anni lunghi e difficili, – ha commentato Carlo Mazzerbo, ex direttore del carcere di Porto Azzurro – quello che mi dispiace molto, oltre all'accusa, è il fatto che è stata messa in crisi una bella esperienza, quella della cooperativa San Giacomo, a cui abbiamo lavorato molto per dare una opportunità di lavoro ai detenuti. Per quanto mi riguarda io ho svolto il mio lavoro e nell'accusa che ho subito è stato mistificato il mio ruolo. Io non avevo nessun potere di mettere in libertà le persone sulle quali le decisioni spettavano e spettano al giudice di sorveglianza, io mi sono limitata al mio ruolo. E' stato un processo lungo, siamo entrati in un meccanismo infernale”.

Secondo il parere degli avvocati difensori Vinicio Vannucci e Marco Talini, il processo non avrebbe dovuto neppure svolgersi perché mancavano le prove ma tutto è comunque andato avanti.

Secondo noi non c'erano prove e inoltre nel corso degli anni alcune posizioni sono cambiate, - ha spiegato Vinicio Vannucci, avvocato difensore di Carlo Mazzerbo - in sede di processo gli altri detenuti hanno negato le accuse e anche il reato di concussione formulato dall'accusa è stato cambiato in un reato meno grave, cioè quello di induzione. Siamo soddisfatti di questa assoluzione e attendiamo ora di leggere le motivazioni che saranno rese note entro 60 giorni. Resta però il fatto che nessuno risarcirà le persone che in questi anni hanno sofferto a causa di questo lungo e logorante processo”.

Sette anni di processo sono stati una lunga sofferenza,- ha sottolineato Marco Talini, avvocato difensore di Zottola e Madonna – solo in parte l'esito ripaga delle sofferenze. Fin dall'inizio noi abbiamo cercato di far rilevare l'incongruenza di queste accuse. Per fortuna poi le numerose intercettazioni hanno supportato il nostro punto di vista. Lo slogan del processo è stato 'Altrimenti vi chiudiamo tutti', questa sarebbe stata secondo l'accusa la minaccia da parte degli imputati verso i detenuti che lavoravano nella cooperativa. Voglio sottolineare che tutto il percorso fatto dai vari detenuti inseriti nella cooperativa ha restituito una esperienza di responsabilizzazione di persone che avevano commesso reati terribili e che hanno imparato che nella vita si deve lavorare per essere parte della società”.

La chiave di lettura di questo processo secondo gli avvocati difensori “è che ci sia stato uno scontro fra due concezioni della pena: una puramente punitiva e 'carcerocentrica' che ritiene che i detenuti debbano essere tenuti costretti nelle mura del carcere a scontare la pena, l'altra che invece punta a rieducare i detenuti e a dare loro delle possibilità per reinserirsi nella società attraverso il lavoro”.

Valentina Caffieri
© Riproduzione riservata


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